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Sicilia 1848: la Rivoluzione contro la corruzione

trinacriadi Giuseppe Di Bella In occasione della ricorrenza dell’inizio dei moti rivoluzionari siciliani del 1848, che infiammarono l’Europa, ritengo interessante pubblicare un documento datato 4 settembre 1848, che testimonia quanto antiche siano in Sicilia alcune problematiche che riguardano il rapporto tra il cittadino e lo Stato. Quanto remota sia l’abitudine all’abuso della cosa pubblica e quello della qualità di pubblico ufficiale, spesso usata in modo improprio e per fini personali e speculativi se non criminali. Ciascuno poi rifletterà sul perché sussistessero quei problemi e sul perché sussistono ancora in Sicilia le odierne lacerazioni e distanze tra il cittadino e l’autorità pubblica, tra governato e governante. Infine sul fatto che l’unità abbia o meno adempiuto al compito che la storia sembrava assegnarle. Il Difensore della Legge presso il Tribunale Civile, di Girgenti (Agrigento) scrive a tutti i “Giudici, Supplenti ed ufficiali dello Stato civile della Valle” e dal testo si evince che aveva ricevuto molte segnalazioni di casi più o meno gravi di corruzione di pubblici dipendenti dei tribunali. Nella foto vediamo la parte esterna della lettera con la Trinacria, emblema della rivoluzione siciliana che tentò, in una breve ed intensa stagione di libertà, di riportare ordine civile e giustizia nella vita del Regno. Intense di altissimo significato civile ed umano, le parole del Procuratore Criscimanno, tese alla tutela dei poveri vessati proprio nei tribunali che avrebbero dovuto render loro giustizia. Questa lettera circolare è l’ennesima testimonianza morale dell’alto profilo civile e politico dei rivoluzionari siciliani del 1848 e dei loro ideali democratici di giustizia sociale e di Libertà. La parola al Difensore della Legge: “Doveri di non lieve momento forman l’oggetto del mio ministero, precipuo quello di vegliare sugl’impiegati, l’adempimento esatto riesce tuttavia malagevole. Poss’ io da per me veder tutto, conoscer tutto? Quanti pregiudizi creduti verità, quanti abusi corro­borati dal tempo, quante abitudici legate alle più vive passioni bisogna combattere? Debbo però ri­starmi? Cessi Diò: anzi in ragione degli ostacoli cre­sce lo studiò di vincere. Ed animo mi porgono le leggi le quali a coo­peratori mi danno le SS. LL. strette al pari di me dagli obblighi stessi dentro il cerchio delle rispettive giurisdizioni. Deh senta ognuno validissima la forza del dove­re! Grato ognuno risponda alla fiducia in lui dal Go­verno riposta! Saran divise le fatiche vicendevoli gli ajuti, comune il merito della vittoria. Giova supporre che impiegati non ci siano degni di rimprovero. Ma le doglianze vengono da per tutto, è frequenti …ascolto sopra ogni altra meritan quelle del povero….. la voce degl’ indigenti è sacra. Sarà dunque vero, che vogliasi attentare all’al­trui nel santuario stesso della giustizia? Che il dolo e la frode abbiano asilo fra coloro in faccia a cui dovrebbero tremare per paura di essere scoperti ed annientati i loro artifizi? Tanta indegnità, tanto sacrilegio non è possibile. Pure non è nuovo l’udire, che in molte officine le esorbitanze sian ridotte ad organizzato sistema, tarif­fe novelle sostituite all’antiche! Vane le precauzioni adoperate dalla legge poiché trovati, i mezzi di eluderle… Rimordè forse in sulle prime l’inesorabile coscienza , ma l’orpellò dell’interesse coprì mano mano la bruttara del vizio e l’uso poscia ne rese indifferente la vista. Tale è l’impudenza che, se ta­lune osa richiamarne, debba sentirsi rispondere “non ci togliete il pane nostro”. Pane di loro? E’ questo un insultò chè rende più dura l’ingiustizia. Pane di loro è soltanto quello, che la legge permette. Il dippiù è pane dello sgraziato litigante, pace di quell’innocente oppresso, che quasi sempre l’ha tolto di bocca ai suoi figli. Consente forse la legge che, a bello studio s’in­dugi per indi ottenere una mancia a titolo di solle­cito disbrigo? Non è la legge che comanda dover ogni ruolo contener venticinque linee composta ognuna di diciotto sillabe? Ciò non è ordinato con tanta minuta scrupolosità da far prescrivere il coacervo delle sillabe, affinché l’eccesso compensi il difetto? A che dunque quei caratteri cubitali e slegati, strascinantisi artatamente, onde una linea non contenga più di due brevissime parole? e di queste od altre tristezze, cui mi vergogno di ricordare, siensi per mala ventura costà commesse, immantinente le rimuovano. Ogni pietà, ogni prudenza sarebbe complicità nel delitto. Massima regolatrice di questa materia sia non esser lecito esiger somma pur menoma, quando da legge apposita non sia prevista. Ed è perciò che la specifica articolo per articolo dee portar di riscontro la disposizione, onde è permessa. E qui è mestieri aggiungere, come non ogni ta­riffa o decreto valgano in Sicilia. Quello a mò di e­sempio del 12 Settembre 1828, il quale agli uscieri, ed ai Cancellieri accorda un compenso pel repertorio, non ci riguarda, poiché non abbiamo noi Legge di bollo. Disposizioni particolari inoltre modificano le tariffe come sarebbe a riguardo del matrimonio. Mi astengo poi di far parola di quegl’impiegati, i quali ardiscono prender privato interesse negli af­fari, di quelli che fidando della loro influenza attra­versano il corso della giustizia, di quelli che ministri si fanno dell’altrui intrigo. Mi lusingo di non esser­cene. Bisogna tutta volta badare attentamente, perchè sotto mentite spoglie questo male, non s’insinui. Signori, siatemi compagni alla santa impresa, sa­rò fra voi inosservato: vegliate, combattete, scudo saldissimo il mio ministero, il Tribunale, da cui si adopereranno al bisogno le misure di rigore. Il dove­re l’esige, la cosa pubblica il comanda, il povero alzerà per noi calda preghiera.”IL DIFENSORE DELLA LEGGE Firmato: N. Criscimanno

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